La disfonia è un disturbo vocale piuttosto frequente nell’infanzia che spesso viene confuso per un sintomo del raffreddore. Nella disfonia infantile la voce del bambino viene alterata coinvolgendo aspetti come il timbro, l’intensità, la frequenza e la durata.
Un intervento precoce nei bambini con disfonia infantile è fondamentale. Qualora la disfonia sia persistente è opportuno rivolgersi al medico specialista (foniatra e/o otorinolaringoiatra) che a seguito di un’accurata valutazione stabilirà la necessità di un eventuale percorso logopedico, utile non solo per la risoluzione del disturbo, ma anche per la prevenzione o mediante l’educazione all’uso corretto della voce.
Il coinvolgimento dei genitori in questo percorso è fondamentale sia per favorire la presa di coscienza dei fattori predisponenti sia perché sono il primo esempio per il bambino.
Fin da subito possono essere messe in pratica alcune semplici norme di igiene vocale come:
- evitare atteggiamenti repressivi o punitivi riferiti alla disfonia;
- cercare di evitare di parlare a grandi distanze ma avvicinarsi e parlare nella stessa stanza della casa, evitare di parlare con rumori di sottofondo (abbassare il volume della radio o della TV in casa e in macchina), educare a rispettare i turni di conversazione;
- usare deumidificatori all’interno della casa per ridurre i rischi di disidratazione della gola, evitare di fumare nell’ambiente in cui si trovano i bambini e bere molta acqua per idratare continuamente le corde vocali.
Le fasi fisiologiche di sviluppo del linguaggio si classificano prevalentemente in base all’età ma è importante specificare che il linguaggio è un codice di natura generativa che si sviluppa in tappe a velocità crescente ma non è slegato da tutti gli altri aspetti evolutivi del bambino.
Le tappe fondamentali dello sviluppo del linguaggio si possono così schematizzare:
- 3-6 mesi: il bambino emette sospiri, suoni gutturali, lancia gridolini, piange in modo differenziato (dolore, disagio, fame, ecc.)
- 6-9 mesi: comincia a produrre suoni ripetuti sillabe (ba-ba-ba, ga-ga-ga…) e usa vocali simili a “o” e “u”
- 9-13 mesi: cresce la capacità di interagire con l’ambiente e le altre persone. Il piccolo cerca dunque di comunicare, richiamando l’adulto (es. mamma, papà) ed esprimendo i suoi bisogni attraverso una comunicazione verbale intenzionale. Tra i 12 e i 18 mesi arriva ad esprimersi con una media di 20 parole.
- 18-24 mesi: usa frasi di due parole, può usare una parola per esprimere più di un significato, dice almeno cinquanta parole anche se non perfettamente articolate
- 24-36 mesi, la capacità linguistica del bambino si sviluppa con rapida accelerazione, conducendo ad uno sviluppo grammaticale maggiore della propria lingua.
Spesso siamo portati a credere che la frustrazione, soprattutto se deriva da un no dell’adulto, sia dannosa per il bambino. Al contrario, se motivati correttamente, i no possono essere utili per delineare i limiti tra il soggetto ed il mondo che lo circonda. È importante mantenere la calma e cercare sempre di stimolare nel bambino la messa in parola delle emozioni. Sono da evitare i ricatti emotivi e i paragoni perché non sono da stimolo ma aumentano la frustrazione e la rabbia.
I bambini hanno bisogno di poche regole ma chiare e precise su cui rimanere fermi. Ogni regola deve essere adeguata all’età del bambino (per esempio a che ora andare a letto, come si mangia a tavola, quanto tempo si può stare davanti alla tv) e va motivata e condivisa da entrambi i genitori. Sono importanti due aspetti: essere coerenti e non chiedere ai bambini cose che noi non faremmo, mettere in parola i perchè delle regole in maniera chiara ed esplicita senza lasciare spazio all’interpretazione personale.
I genitori (e tutte le figure che si prendono cura del bambino) svolgono un ruolo sostanziale nel favorire lo sviluppo linguistico e comunicativo del bambino fin dai primi mesi di vita.
Molte strategie favorevoli ad un corretto sviluppo comunicativo, linguistico e reazionale sono impiegate spontaneamente, tuttavia avere una maggiore consapevolezza può essere utile a canalizzare al meglio le “energie linguistiche”.
Nei primi mesi di vita è importante parlare al bambino anche quando non risponde, è fondamentale farlo durante le attività quotidiane (riporre la spesa, preparare un pasto ecc.) di accudimento (vestizione, bagnetto ecc.) e gioco (cucù ecc.) favorendo la posizione “faccia a faccia”.
L’adulto dovrebbe interfacciarsi col bambino utilizzando un linguaggio semplice quando si rivolge al bambino di pochi mesi; in particolare dovrebbe privilegiare fasi brevi, pronunciare con enfasi le parole più importanti, utilizzare la gestualità e introdurre delle pause affinché il bambino possa dare il proprio contributo. Si dovrebbe rispondere alle azioni del piccolo bambino come se avessero un significato. È utile fermarsi ad osservare a cosa sia interessato il bambino e parlare di quello che sta guardando. Già a 6 mesi gli piace il gioco attivo, reagisce con entusiasmo ai giochi conosciuti (es. canzoni mimate, filastrocche o al gioco del cucù). È importantissimo ridurre al minimo il rumore di fondo in modo che il piccolo possa ascoltare gli altri parlare.
Il rischio di cominciare a balbettare è massimo ed ha un andamento crescente nella fascia compresa tra i 2 e i 4 anni, dunque si manifesta nel periodo di massima evoluzione del linguaggio (raramente prima che sia acquisita la capacità di utilizzare la frase). Poiché la balbuzie insorge nella maggior parte dei casi prima dei 5 anni, molto frequentemente va considerata come un problema evolutivo. L’80% dei bambini che cominciano a balbettare smettono spontaneamente e nella metà circa dei casi entro 1 anno dall’inizio delle manifestazioni. In ogni caso prima si mettono in atto delle strategie comunicative atte a non alimentare comportamenti disfluenti, maggiori saranno le possibilità di successo (anche delle eventuali terapie future). È importante che fin dall’esordio della disfluenza del piccolo bambino i genitori e le figure di riferimento abbiano un comportamento comune mettendo in atto delle “buone pratiche” comunicative:
- è importante ascoltare con attenzione ciò che il bambino sta dicendo piuttosto che ascoltare come lo dice;
- permettere al bambino di completare l’esposizione del proprio pensiero senza interruzioni, evitare di completare o anticipare il pensiero del bambino;
- mentre il bambino sta parlando, mantenere un naturale contatto oculare e rispettare i turni di comunicazione;
- attendere un paio di secondi prima di rispondere al bambino perché servirà a mantenere un ritmo comunicativo più tranquillo;
- manifestare al bambino che avete piacere a trascorrere del tempo con lui dedicando almeno 5 minuti al giorno per colloquiare con lui senza fretta;
- abolire le richieste di parlare più rapidamente, con più precisione e di respirare piano.
La capacità di attenzione dei bambini è molto varia ed è strettamente legata alla fascia d’età.
Oltre all’età, le variabili in gioco quando si parla di attenzione sono le caratteristiche del bambino e quelle del compito/attività cui si sta dedicando: le attività manipolative (giocare con la farina, con la pasta modellabile, con l’acqua, etc.) ad esempio, catturano maggiormente attenzione e risorse del bambino, perché mentre le svolge prova sensazioni piacevoli che gli arrivano dal senso del tatto, ma a qualche bambino possono risultare fastidiose perché non gradisce la consistenza del materiale che sta toccando, oppure perché non ama sporcarsi.
Quindi osserviamo il nostro bambino per capire quali sono i giochi che ama di più, per comprendere le sue attitudini e preferenze, cerchiamo di proporgli qualcosa che pensiamo gli possa piacere, senza dimenticarci di introdurre elementi di novità come giochi o attività inconsuete. Non preoccupiamoci se però non le gradisce, forse non è ancora il momento giusto o semplicemente la cosa non fa per lui.
Nessun bambino ama raccontare quello che fa a scuola. Non lo amano perché la scuola è un ambiente loro e perché davanti a domande ampie (“cosa hai fatto oggi a scuola?”) non saprebbero bene cosa raccontare, cosa selezionare. Si può provare a fare qualche piccola domanda diretta tipo: “Che laboratorio avete fatto?”, “Cosa avete disegnato?”
Quando il bambino si sveglia e si trasferisce nel lettone bisogna riaccompagnarlo nel suo letto e sedersi accanto a lui fino a quando non si riaddormenta. A sei anni occorre circa una settimana per stabilizzare la nuova abitudine, a patto però che ci sia coerenza nell’agire: se una notte lo si riaccompagna e quella dopo lo si lascia stare nel lettone il bambino va in confusione e l’abitudine non si stabilizza.
Come per altre problematiche è sempre fondamentale conoscere l’età del bambino per valutarne l’eventuale tappa di sviluppo rispetto all’età prima di classificarlo come “disturbo”.
Il disturbo specifico dell’articolazione dell’eloquio è “una condizione in cui l’uso dei suoni verbali è inappropriato rispetto sia all’età cronologica sia all’età mentale, ma in cui vi è un normale sviluppo delle abilità lessicali e grammaticali”.
È rilevante esplicitare che le difficoltà nella produzione dei suoni possono essere di differente natura:
- Disturbo fonetico (componente articolatoria): la difficoltà riguarda la realizzazione motoria di una sequenza già programmata e non influenzerà l’apprendimento della lettura e della scrittura perché in questo caso il bambino è in grado di distinguere parole corrette da quelle alterate;
- Disturbo fonologico puro: gli errori non sono costanti e soprattutto si evidenzia una difficoltà non tanto nella realizzazione dei suoni, quanto nell’analisi e nella costruzione del programma articolatorio che permette la produzione delle parole.
Se dopo i 3 anni si riscontrano delle alterazioni nella produzione delle parole è bene consultare uno specialista affinché venga effettuata una diagnosi differenziale, i casi di disturbi protratti nel tempo non sempre si risolvono spontaneamente.
Il litigio fa parte della vita dei bambini: non li si può dissuadere da questo, è la cosa più normale del mondo che si accapiglino tra di loro, e che tra di loro trovino l’autoregolazione, la composizione. In genere, finisce che uno dei due si ritira dalla mischia, ma se interviene l’adulto finisce che i bambini si rivolgono a lui e perdono questa capacità di autoregolazione. Se non si interviene, in genere entro un minuto i bambini fino a sei anni risolvono da soli, dopo di che li si può invitare a parlare tra di loro. Evitare, invece, di cercare il colpevole, rimproverare, assegnare punizioni.
Il ciuccio va usato solo in particolari situazioni, per esempio di notte quando i genitori hanno delle difficoltà a gestire i risvegli del bambino, mentre di giorno andrebbe evitato. Detto questo, rispetto al cambiamento delle abitudini il bambino si tara sulla determinazione dei genitori: se questi sono determinati (e sereni) nelle loro risoluzioni, il bambino le accoglie con tranquillità. Se ci sono incertezze, tentennamenti il bambino va in confusione. Anche in questo caso si tratta di mandare segnali chiari e concreti e di organizzarsi di conseguenza: di notte, per esempio, si può offrire un pupazzo al posto del ciuccio.
Alcuni bambini possono evidenziare delle difficoltà nell’acquisizione delle diverse componenti del linguaggio. Le difficoltà linguistiche possono presentarsi in forma isolata o in associazione con altre condizioni patologiche.
Intervenire precocemente è importante perché aiuta a prevenire un disturbo più strutturato nel linguaggio e nella comunicazione e a contenere il peso che il ritardo può assumere nello sviluppo successivo.
Si consiglia di chiedere una valutazione specialistica quando si osservano questi comportamenti:
- Assente o ridotta presenza del “gioco simbolico” tra i 24 e i 30 mesi (es.: giocare a far finta di…)
- Nessuna combinazione di due parole a 30 mesi
- Babbling (o lallazione) assente dopo i 12 mesi
- Gesto di indicazione assente dopo i 16 mesi
- Assenza di segnali di comprensione verbale tra 18-24 mesi o ritardo della comprensione di ordini dati al bambino non troppo contestualizzati tra 24 e i 30 mesi (es.: stando in bagno si chiede al bambino di prendere le scarpe dalla cameretta).
- Mancata/limitata progressione del repertorio linguistico (vocabolario minore di 20 parole a 18 mesi, minore di 50 parole a 24 mesi).
In questo caso il bilinguismo dei bambini si svilupperà naturalmente e quasi indipendentemente dall’influenza linguistica dei genitori. I bambini impareranno velocemente a parlare una lingua in ambiente domestico e un’altra nei contesti non familiari (es: compagni a scuola, palestre, oratori ecc…). Le rispettive funzioni delle due lingue sono ben definite ed entrano raramente in conflitto poiché ricoprono due campi separati del vissuto del bambino. La lingua madre rivestirà sempre un ruolo importante e non sarà mai esclusa ma la lingua appresa e utilizzata nella vita “sociale” (utilizzata per soddisfare il bisogno vitale di comunicare) diventerà prevalente.
Il processo di acquisizione del linguaggio viene spesso dipinto come un processo in continuo mutamento che parte poco dopo la nascita (quando ancora non vi è intenzionalità comunicativa) e conduce allo stadio in cui il bambino è in grado di utilizzare il linguaggio nelle modalità più complesse (come porre domande o la gestione delle regole grammaticali).Tuttavia tale processo non avanza sempre in modo regolare, le modalità di sviluppo possono essere infatti irregolari, con alcune componenti del linguaggio che procedono in modo più spedito di altre. È indispensabile stabilire in quale “stadio di sviluppo nell’acquisizione del ’linguaggio” si trova il bambino rispetto all’età cronologica: sarebbe, quindi inopportuno stabilire a priori il livello di gravità del disturbo. È fondamentale però non attendere fino ai 3 anni per essere sicuri che il bambino non parli, trascurando un tempo prezioso ai fini di intervenire sui ritardi qualora sarebbe necessaria una rieducazione specialistica immediata.
In seguito al delicato periodo che abbiamo vissuto nei mesi scorsi, rappresentato dall’improvvisa chiusura di ogni spazio comune e dalla conseguente limitazione delle normali libertà individuali, è del tutto normale che il trauma generatosi nei bambini, trovatisi privi da un giorno all’altro dei loro legami secondari (scuola, insegnanti, compagni etc.), abbia segnato profondamente il loro sviluppo.
Come genitori è utile accogliere, ed ascoltare, queste angosce così come ci vengono portate, senza alcun tipo di censura. Molto spesso per i bambini, il solo mettere in parola ciò che li tormenta serve a restituire ai loro fantasmi la giusta dimensione. Ciò che è sempre bene ricordare è che la messa in parola, incentivata dall’adulto attraverso un ascolto attivo, a volte risulta essere l’arma più potente che esista.
Può darsi che non sia una vera apnea, ma in ogni caso il bambino quando reagisce così intensamente si trova in uno stato emotivo di blocco e bisogna dargli il tempo di smaltire questa situazione.
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